Dio e le tragedie umane – 2° parte

banco in cui era inginocchiato don Andrea nel momento della tragedia

Banco in cui era inginocchiato don Andrea nel momento della tragedia

C’è una terza risposta…. La risposta è: dietro ad ogni tragedia c’è una tra­gedia più profonda che coinvolge l’universo intero… Questa tragedia si chiama peccato…. 

Come l’uomo (il singolo come ogni comu­nità e ogni popolo) conosce gli attacchi distruttivi dell’ira, della gelosia, dell’invidia, della superbia, dell’egoismo, dello spirito di possesso, della sensualità, del culto del denaro e dell’apparenza, così la natura creata co­nosce attacchi ciechi e distruttivi, lo scatenarsi di forze incontrollabili che si abbattono all’improvviso, magari dopo aver covato a lungo, e seminano morte. Come non c’è sempre amicizia tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, anzi una strana inimicizia e rivalità, così non c’è sempre amici­zia tra uomo e natu­ra, anzi spesso ostilità e guerra vera e propria. Come si rompono gli equilibri umani così si rompono all’improvviso gli equilibri tra uomo e natura, tra natura e natura. L’immagine di una natura idilliaca e di un uomo “buono” all’interno di essa, è falsa. Come l’uomo fin dalla nascita, insieme alle sue virtù, si porta dentro le sue cattiverie così la terra-madre si manifesta spesso matrigna. Dio non c’entra perché Dio all’inizio, come dice la Scrittura, “ha fatto bene ogni cosa”. C’entra il peccato che ha portato fuori centro l’asse dell’uomo e lo ha fatto impazzire. La creazione, casa dell’uomo, è rimasta sconvolta dal suo peccato come lo resterebbe una casa in preda a un pazzo. E’ stata sottomessa, senza sua volontà, alla caducità e al disordine e si è rivoltata contro l’uomo. E’ come impazzita essa stessa. Dio, per amore di libertà, ha lasciato spazio al peccato e alla morte che ne è il frutto e i cui segni sono evidenti tanto nel­l’uomo che nella natura. Ma Dio, per amore dell’uomo, non lo abbandona. Gli invia una forza illumina­trice, risanatrice e divinizzatrice e piega a suo favore le conseguenze tragiche del suo peccato. Dio cioè, che non ha voluto né il male né la morte lascia al male, alla sofferenza e alla morte il suo corso affinché l’uomo, attraverso essi, si interroghi, si purifichi, e rientri in se stesso. Quando l’uomo chiede a Dio: “dove sei?”, Dio chiede all’uomo: e tu dove sei? Dove sono io nella tua vita? Dove è il tuo cuore? Dove portano le tue vie? Proprio la morte, da nemica, può diventare amica perché appannando all’improvviso tutto può portare alla luce cose nascoste e porre domande fino allora ignorate. Il dolore, che uccide e spesso all’inizio pone contro Dio, può aprire sentieri sconosciuti e produrre frutti inimmaginati, può ri­portare a quel Dio da cui ci eravamo allontanati e che per questo ci appariva inesistente o estraneo o muto. E’ così che la Sacra Scrittura ha letto e fissato per scritto certe grandi tragedie del passato: la torre di Babele e la frantumazione degli imperi, il diluvio universale e la corruzione della generazione di Noè, il crollo di Sodoma e Gomorra, l’offuscamento della gloria d’Egitto e di Ninive, la fine di Cafarnao, Ko­razin e Betsaida, la distruzione di Gerusalemme. Gesù stesso davanti a una strage politica compiuta da Pilato (l’assassinio di molti Galilei avversari di Roma) e davanti a un episodio di cronaca nera (il crollo di una torre, con la morte 18 persone) dice: “credete forse che quei tali fossero più colpevoli degli altri? No, vi dico, ma se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo”. Dio non veglia sulle nostre trage­die per inviarcele cinicamente, non è cieco o distratto da non accorgersene, non è impotente da non po­tercene salvare . Dio veglia sul nostro male perché ne nasca un bene. Non teme il dolore dei suoi figli ma se ne serve affinché, come per un bambino condotto in sala operatoria, ne nasca una guarigione. Dio non guarda dal di fuori il nostro dolore ma ci è entrato dentro in Gesù, “uomo dei dolori”, per mostrarci come trasformarlo in una via di luce, per viverlo in noi e farcelo vivere in lui come strumento di Reden­zione e come fonte di vita.

Se non vogliamo allora sprecare una tragedia o una morte, o seppellire sotto le parole eventi dolorosi privati o pubblici dobbiamo sempre daccapo chiederci: dove stiamo andando? Attorno a cosa ruota la nostra vita? Siamo davvero giusti o siamo chiamati alla conversione? Dov’è davvero Dio? Farsi solo do­mande sui sistemi di allarme e di prevenzione, fare solo ricerche di natura medica o scientifica, in­dagare solo sui danni di natura economica, significherebbe sprecare la morte di tanti e buttare al mare un patri­monio di dolore. Le prime domande sono importanti e doverose. Ma le seconde lo sono ancora di più. Le prime sono difficili, le seconde ancora di più. Le prime permettono di ricostruire, le seconde permet­tono di rinascere.

Se poi, ma qui la riflessione prenderebbe di nuovo il largo, ci mettiamo davanti al dolore inno­cente e puro come quello dei bambini, allora abbiamo il dovere di interrogarci sul valore di questa innoc­enza per noi, sulla dignità degli indifesi, sul posto che i più piccoli, i più puri, i più inermi e i più offesi occupano nella storia e nella nostra vita concreta. Se non vogliamo che questa sofferenza inno­cente scompaia semplicemente sotto le onde e si riveli inutile per sempre dobbiamo riscoprire il san­gue innocente di Cristo Agnello senza macchia. Il mistero di questo sangue che lava le colpe del mon­do ci farà scoprire il mistero di quell’innocenza che si fa carico silenziosamente del male del mondo e lo affo­ga, come Cristo, nella propria purezza. Apparirà come la vera innocenza, mite umile silenziosa, è l’unica in grado di riscattare il mondo dalla falsa innocenza. Questa vera innocenza si rivelerà come una grazia risanatrice che nessuna onda potrà portar via, e come l’unica forza in grado di liberare dal fango il mon­do intero. Ci aprirà finalmente gli occhi su qualcosa che siamo chiamati a cambiare e su vie di luce che siamo chiamati a intraprendere. Potremo capire come trasformare noi stessi il dolore in amore e la no­stra sofferenza in uno strumento di vita per il mondo. Le false innocenze, astiose e pre­suntuose, cadran­no e finalmente dall’umiltà potrà nascere una creatura nuova. (articolo per le Acli gennaio 2005 – seconda  parte)

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