Un missionario, un pastore, un martire

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Intervento del Cardinale Beniamino Stella

(2° parte)

 

don Andrea in preghiera a Urfa

don Andrea in preghiera a Urfa

Seconda parte della riflessione del cardinale Beniamino Stella sulla Preghiera di don Andrea.

Don Andrea è stato un prete che ha vissuto senza schizofrenie spirituali la dimensione missionaria della fede; non era un prete “partito per la missione” o con un carisma di evangelizzazione, ma, piuttosto, egli credeva che ogni prete è anzitutto un missionario e un annunciatore del Vangelo. Per questo, chiede nella preghiera i doni necessari all’apostolo, fino alla “disponibilità estrema” della propria vita, che effettivamente egli raggiungerà pochi anni dopo.

Commuove vedere che, proprio negli ultimi anni, la preghiera di don Andrea è, in qualche modo, preludio della sua testimonianza di offerta totale. Egli crede che sull’altare, mentre Cristo è nell’Ostia, ci sono anche i poveri, e proprio per essi un sacerdote deve evangelizzare e operare, sulle orme degli Apostoli; ma – osserva don Andrea – “San Paolo fuggì da Damasco nascosto in una cesta, cacciato, minacciato di morte. Io esco a piedi, in aereo, tranquillo. Non ho ancora sofferto nulla per te Signore. E soffrire mi fa paura” (“Cristo e i poveri”, 13 febbraio 1994).

Non è questo un romantico desiderio di sacrificio, ma la convinzione che la missione riesce quando ci si mette in gioco con la propria vita, con il dono di sé come Cristo fa nell’Eucaristia.

Così, con abbandono e fiducia, egli contempla l’attesa dello Sposo: “Quando sai che Dio viene, che ti vuole sposare e gli vai incontro, preparati a tutto: è Lui che dirige le nozze, tempi e modi. Tu? Devi solo avere olio, tanto olio”. E qualche anno prima del suo ultimo viaggio, don Andrea parla della sua morte: “La mia morte, quando verrà. Quando mi chiamerai a questo transito. Un’ora buia che mi fa paura. Solo tu luce, solo tu forza, solo tu fiducia. La tua mano, sposo mio” (“Ritorno”, 13 febbraio 1994).

La mano dello Sposo, che sempre lo ha accompagnato nel ministero, ha dolcemente afferrato la mano di don Andrea il 5 febbraio dell’anno 2005. Se è stata la violenza, atroce e ingiustificata, a spezzare la preghiera che egli stava elevando al Cielo nel silenzio della Chiesa, il suo Signore non ha permesso che essa si spegnesse; anzi, accogliendolo tra le sue braccia, ha esaudito una delle sue frequenti esclamazioni: “Tienimi bene in pugno e lavorami totalmente”.

Papa Francesco, in una delle sue omelie mattutine in Santa Marta, ha tracciato un vero identikit del prete, affermando che “Il sacerdote può perdere tutto, ma non il suo legame con il Signore” e che “siamo buoni sacerdoti se andiamo da Gesù Cristo, se cerchiamo il Signore nella preghiera: la preghiera di intercessione, la preghiera di adorazione. Se invece ci allontaniamo da Gesù Cristo, dobbiamo compensare questo con altri atteggiamenti mondani”. (Omelia Santa Marta, 11 gennaio 2014).

Credo che la testimonianza più bella che don Andrea lascia a tutti noi e a ogni sacerdote è proprio questa: il legame con il Signore vissuto nella preghiera. Come un ritmo musicale che ha scandito le tappe del suo ministero sacerdotale, la preghiera ha reso don Andrea un autentico pastore sulle orme di Cristo, un testimone del Vangelo dal cuore innamorato di Dio e, al contempo, compassionevole verso le persone, nella disposizione interiore di offrire la sua stessa vita.

Mi piace ricordare, per concludere, quanto egli scrive a proposito di Gesù Buon Pastore, che si presenta come “la porta delle pecore”: “La porta significa un passaggio…ma se c’è una porta significa che bisogna lasciare ciò che è di casa, si può trovare qualcosa che può diventare casa. La porta significa che tutto è casa, ma devi varcare una soglia perché questo avvenga” (Fonte Colombo, 13 ottobre 1977).

Don Andrea ha vissuto la preghiera come intima purificazione del cuore, come anima della carità pastorale e come fulcro del suo spirito missionario; la preghiera lo ha aiutato a somigliare sempre più al Buon Pastore: a varcare la soglia, facendo del mondo la sua vera “casa” e spendendo la propria vita fino alla fine per permettere che tutti gli uomini potessero passare attraverso la “Porta Santa” che è Gesù. Il suo esempio sia modello di zelo e di carità per ogni sacerdote, e la sua intercessione possa aiutare tutti noi a vivere il rischio di una “fede inquieta e pellegrina”, radicata in Dio e protesa con slancio di misericordia verso i fratelli.

Basilica di Santa Croce in Gerusalemme – Domenica 29 Novembre 2015, ore 17:30

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