Riflessione di don Andrea sulla Morte (XI/1999)

L’ANIMA DI UN PASTORE ed. San Paolo, n. 49

Novembre 1999

Alla comunità parrocchiale Santi Fabiano e Venanzio

 

Carissimi, 

voglio parlarvi, in questo mese di novembre, della morte. S. Francesco d’Assisi parlava di due morti: la prima, che chiamava “sorella” e la seconda che chiamava “male”. La prima è la morte corporale, che come una sorella maggiore guida all’incontro con il Padre, la seconda è la morte spirituale (che segue quella corporale) che egli indentificava con l’inabissamento senza fine nel peccato, l’assenza eterna di Dio. Così si esprimeva: «Laudato sii mi Signore per sora nostra morte corporale dalla quale nullu homo vivente pò scappare. Guai a quelli che morranno ne le peccata mortali; beati quelli che troverà ne le tue santissime voluntati, ca la morte secunda nol farà male». Questo male è quello da cui Gesù, nel Padre nostro, ci fa chiedere di “essere liberati”: è la dannazione, è lo sprofondamento di sé nel rinnegamento di Dio. S. Paolo parlava della morte come un “guadagno”, perché gli permetteva di essere per sempre con Cristo e manifestava perciò il desiderio di «essere sciolto dal corpo». S. Teresa di Lisieux (che morì a 24 anni) parlava della morte come di «un morire d’ amore», perché la immaginava come un “rapimento” dello sposo celeste a cui non si poteva che cedere totalmente. I commentatori rabbinici descrivevano la morte di Mosè (che non si decideva a morire perché voleva entrare nella terra promessa) come un bacio di Dio così intenso da convincerlo che il cielo era meglio della terra. S. Monica confessava al figlio S. Agostino che oramai non c’era più nulla che la attraeva in terra. Desiderava solo congiungersi nell’eternità con Dio. Francesca, una giovane donna, madre di due figli, che era ritornata a Dio da quando la malattia si era affacciata, mi diceva: «Vedrò Dio prima di tutti voi: questo è il privilegio che mi ha concesso». Morì di lì a pochi giorni.

La nuova tomba di don Andrea Santoro nella parrocchia dei santi Fabiano e Venanzio a Roma

La nuova tomba di don Andrea Santoro nella parrocchia dei santi Fabiano e Venanzio a Roma

Io stesso ho fatto esperienza della morte più volte. Mia nonna, che non ho mai conosciuto (la madre di mia madre), è morta a 39 anni. Un mio zio materno, a cui ero molto legato, è morto a 31 anni. Due miei fratelli sono morti all’età di un anno a distanza di un mese l’uno dall’altro. Da ragazzo Dio chiamò a sé tre miei amici: uno per incidente stradale, uno per leucemia, un altro per tumore alle ossa. Ho visto in queste morti delle partenze per il cielo dove anche io sono diretto: «Non abbiamo qui una dimora stabile, dice S. Paolo, la nostra patria è nei cieli». Gesù parlava della sua morte come di un “innalzamento”, di un “andare al Padre” e diceva: «Vado a prepararvi un posto, perché siate anche voi dove sono io».

Da prete ho imparato ancora di più cos’è la morte: lo debbo a tanti anziani, adulti, giovani e anche bambini che ho assistito e che riflettevano nei loro occhi e nelle loro parole una luce dell’eternità in cui stavano entrando. A volte ho fatto delle tristi esperienze. Una volta un anziano, il cui nipote mi aveva chiamato dicendomi: non fartene accorgere se no si impressiona, ebbe una reazione quasi di bestemmia, cacciandomi. Pregai per lui perché gli lessi negli occhi un vuoto e una disperazione senza fine. Un’altra volta una donna di 92 anni mi disse: ci penserò quando avrò tempo. Carissimi. So che molti di voi gemono sotto il peso di distacchi terribili o piangono morti premature. Altri sono attanagliati dal dubbio. A tutti vorrei dire: non temete. Cristo ha vinto. Morendo per i nostri peccati ha stracciato la nostra condanna a morte e ci ha ridato la vita. La morte e la sofferenza ci possono fare da “sorella” insegnandoci molte cose, accendendoci luci incredibili, aprendoci porte insospettate, purificandoci, portandoci ai confini di Dio proprio attraverso l’umiltà, l’obbedienza, l’abbandono, l’offerta amorosa di noi stessi. Carissimi, non nascondiamoci la morte, non fuggiamola, non seppelliamola sotto le apparenze o la fretta. Prepariamoci ad essa come ci si prepara ad un viaggio decisivo, purifichiamoci, circondiamola di preghiera. Forse per imparare a vivere dobbiamo ricominciare dalla morte.

don Andrea