Spiritualità sacerdotale: 3.rapporto con la Chiesa

don Andrea con i parrocchiani più giovani

don Andrea con i parrocchiani più giovani

3. Il rapporto di don Andrea con la Chiesa (fraternità) (mons. Angelo De Donatis)

Un ultimo aspetto che vorrei analizzare della spiritualità sacerdotale di don Andrea è il suo rapporto con la Chiesa. E non solo (o non tanto!) con la parte istituzionale di essa, che ha avuto un ruolo sicuramente importante nella sua vita, ma vorrei soffermarmi un po’ di più sul legame che aveva con la Chiesa, corpo di Cristo. Attingendo inevitabilmente alla sua intima relazione con il Signore, attraverso l’ascolto della sua Parola e l’offerta Eucaristica, don Andrea non poteva prescindere dall’entrare in relazione concreta e tangibile con il popolo di Dio, sporcandosi le mani.

In questo percorso ho scelto di farci accompagnare da san Giuseppe, custode della prima chiesa domestica formata da Maria e Gesù! Matteo nel suo vangelo lo definisce “uomo giusto” alludendo non tanto all’aspetto giuridico del termine quanto al rapporto profondo di quest’uomo con Dio. Giuseppe guarda ciò che accade nella sua vita, lo analizza da molti punti di vista, ma poi sceglie la prospettiva di Dio. Il suo essere giusto è una realizzazione della misericordia perché si affida completamente a Dio, non fermandosi a valutazioni umane. Non si sottrae alle sue responsabilità di uomo e prende con sé Maria, che è incinta e non viene meno al compito di padre di un figlio non suo. Giuseppe è un uomo dal cuore aperto, disponibile, libero, per questo Dio può chiedergli collaborazione. Non si ostina a rincorrere il suo progetto di vita ma è pronto a mettersi a disposizione del Signore che gli propone una novità assoluta. Giuseppe guarda la sua storia con gli occhi di Dio. Anche noi come lui siamo chiamati a vivere la nostra paternità accompagnando le persone alla “vita secondo Dio”.

Don Andrea ha cercato di vivere in pienezza la sua paternità spirituale, soprattutto verso i più deboli. Non era solito tirarsi indietro laddove fosse richiesta la sua presenza, giorno e notte. Amava andarle a cercare le sue pecorelle, entrando in relazione con ciascuna. Decidere di celebrare messa nei cortili dei palazzi per raggiungere il maggior numero di suoi parrocchiani quando viveva a san Fabiano e Venanzio; aprire le porte della parrocchia ai bisognosi a Verderocca; pregare silenziosamente per le strade di Trabzon e Urfa, in Turchia, tra la gente perché sentiva di essere “parroco di una moltitudine di musulmani” sono forse indicatori di come vivesse la sua paternità. Quasi “antesignano” di quella chiesa in uscita che oggi papa Francesco continua a proporci.

La sua ansia pastorale era animata dal far prevalere la misericordia nelle relazioni sull’efficacia, sulla perfezione, sul buon andamento della baracca. E questo non per buonismo ma perché all’interno della comunità ognuno potesse sentirsi a casa, esprimendo al meglio il proprio carisma a servizio del bene comune. Don Tonino Bello avrebbe chiamato questa modalità pastorale “convivialità delle differenze”. Lo spazio dell’incontro con l’altro diventava quindi, per don Andrea, occasione in cui creare la fraternità e farla pian piano crescere. Non senza fatiche e sofferenze.

Ripensando a don Andrea tra le mura delle sue parrocchie immagino in filigrana san Giuseppe che con amorevole premura aiuta il piccolo Gesù ad aprirsi nella relazione con gli altri bambini, che gli insegna a non imporsi, a guardare al debole senza escluderlo. Immagino Gesù bambino che accompagna Maria a fare la spesa e rivedo don Andrea che si intrattiene con il giornalaio, che passa a salutare il panettiere, che si ferma per strada a fare due chiacchiere con una persona anziana.

Non voglio tuttavia dipingere un don Andrea edulcorato! Non sarebbe reale e non renderemmo testimonianza alla verità! Infatti non possiamo nascondere che il suo carattere risoluto e tenace abbia prodotto qualche incomprensione con i confratelli con cui collaborava, ma la vita di presbiterio per lui doveva essere primariamente il riflesso della vita trinitaria, per questo sovente quando sentiva di aver sbagliato chiedeva scusa e ringraziava per le possibilità di confronto che si aprivano nella vita comune.

La sua paternità certamente nasceva dal riconoscersi figlio di Dio e figlio della chiesa di Roma che, con un certo vanto, amava ricordare: “presiede nella Carità”. È all’interno di questo senso di figliolanza che ha maturato il suo essere “fidei donum” per la chiesa del Medio Oriente. Il germe di questo amore per la Chiesa Madre, conosciuta nel pellegrinaggio del 1980, è cresciuto in don Andrea nel tempo e così dopo anni di richieste, tenaci ed insistenti, ha ottenuto di essere inviato come dono a sostegno della Chiesa di Turchia. Se la madre presiede nella Carità, il figlio impara a donarsi con gioia per la Carità!

A questo proposito scriveva: “Andando io vorrei (se Dio lo vorrà) attingere e consegnare anche a voi un po’ di quella luce antica e darle nello stesso tempo un po’ di ossigeno perché brilli di più. Sento questo invio, che affronto a nome della Chiesa di Roma, come uno scambio: noi abbiamo bisogno di quella radice originaria della fede se non vogliamo morire di benessere, di materialismo, di un progresso vuoto e illusorio; loro hanno bisogno di noi e di questa nostra Chiesa di Roma per ritrovare slancio, coraggio, rinnovamento, apertura universale”. (dalle Lettere dalla Turchia, pag 15)

All’inizio dell’intervento sottolineavo come sia importante per noi ricordare don Andrea in questo anno. Lui si è fatto lentamente incontrare, toccare, plasmare dalla Misericordia di Dio e questo ci dà la possibilità di fermarci a riflettere su quanto tale percorso sia possibile per ciascuno di noi.

Giovanni il Battista, l’apostolo Pietro e san Giuseppe sono persone che, come è successo a don Andrea, pur mosse da una grande fede hanno attraversato la loro “notte oscura” ma hanno sempre scelto di tenere lo sguardo fisso su Gesù, misericordia del Padre. Io credo che un messaggio che ci ha lasciato don Andrea sia quello di non aver paura della tenerezza di Dio. Non temere che Dio ci chiami, si faccia nostro prossimo, ci tocchi, ci curi e ci guarisca. “Dalle sue piaghe siete stati guariti”(2Pt 2,24): è quello il luogo che Dio ha scelto per condividere con noi limiti, incomprensioni, divisioni, trasformandolo in luogo di condivisione, accoglienza, abitato da quell’amore che è più forte della morte. “La parte migliore” (Lc 10) che non ci sarà mai tolta è l’amore che Dio nutre per ciascuno di noi. Accogliere questo dono di misericordia è il principio di una vita nuova. Chiediamo a don Andrea di intercedere per noi, per la Chiesa di Roma e per quella del Medio Oriente; affinché il volto amorevole del Padre abiti il nostro cuore e lo renda sempre più conforme al Suo verso tutti i fratelli e possiamo scegliere di essere in Lui come la vite i tralci. Fino all’ultimo giorno della nostra vita.

Vorrei concludere con la preghiera a “Meryem Anà” che don Andrea ha composto al momento della sua partenza per la Turchia, nel 2000. Maria diventi per noi modello di accoglienza premurosa.

 

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